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Le incertezze di ordine tassonomico che connotano il modello israeliano, imputabili al pluralismo giuridico e alla stratificazione delle fonti di produzione, sono acuite dallo speciale, ed intricato, rapporto esistente tra diritto religioso e diritto statuale. Israele nasce, nel 1948, come stato laico, che garantisce la libertà di religione e di coscienza; tuttavia l'assenza, nel Foundation of Law Act 1980, del riferimento al culto e all'adorazione di Dio, non impedisce il richiamo a valori universali e, segnatamente, ai principi di libertà, giustizia ed equità della tradizione ebraica. Israele è, dunque, una «democrazia con una differenza», dovuta proprio alla difficoltà di conciliare il suo essere stato ebraico e democratico al tempo stesso. Questo carattere duale si riflette in tutte le componenti dell'ordinamento giuridico israeliano, e, soprattutto, nel diritto di famiglia e delle persone, tradizionalmente appannaggio dei tribunali religiosi, dove tangibili sono le spinte nel segno della secolarizzazione. Il tentativo di preservare un ragionevole punto di equilibrio tra diritti che traggono la loro fonte nell'ebraismo e diritti di matrice democratica rappresenta la sfida e il progetto costituzionale del sistema israeliano nel suo complesso. Un punto di svolta particolarmente importante è rappresentato dalla trasformazione, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, della Corte Suprema, che è divenuta l'interlocutore privilegiato verso il quale indirizzare i principali dilemmi relativi all'identità collettiva della nazione.